Vai al contenuto

Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/247

Da Wikisource.

LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 241

SCENA VII.

Fabrizio e Lindoro.

Fabrizio. Che sì, che vi manda dalla signora Barbara?

Lindoro. È vero.

Fabrizio. Me l’ho immaginato. Sentendo la sua gran premura, ho subito detto: non può esser altro che questo.

Lindoro. Avete veduto mia moglie?

Fabrizio. Si è serrata nella sua camera.

Lindoro. Si è serrata in camera! La vorrei veder prima di sortire.

Fabrizio. Per ora non vi consiglio. È meglio ch’andiate a far la commissione del signor don Flaminio. Lasciatela un poco in quiete. Lasciate ch’io la veda prima di voi. Procurerò persuaderla, disingannarla. Questa sera poi ceneremo insieme, entrerò in discorso presente voi. Parlerò io, parlerete voi. Io poi vi lascierò soli, e voi concluderete la vostra riconciliazione.

Lindoro. Farò a modo vostro. Anderò subito a servir don Flaminio.

Fabrizio. Fate un piacere anche a me nello stesso tempo.

Lindoro. Comandatemi.

Fabrizio. Se vedete Tognina, salutatela da parte mia.

Lindoro. Lo farò volentieri.

Fabrizio. Ditele che compatisca, se non vado da lei...

Lindoro. Dirò presso a poco le ragioni che deggio dire alla sua padrona.

Fabrizio. Sì certo, che gli affari me l’impediscono.

Lindoro. Non dubitate, farò di tutto perch’ella sia certa della verità, e non creda che voi manchiate per disattenzione, o per poco amore.

Fabrizio. Oh, ella poi è una buona ragazza, mi vuol bene, sa che le voglio bene, e non è ne sofistica1, nè sospettosa.

Lindoro. È vero; per quel poco che l’ho veduta, mi pare che sia del miglior carattere del mondo. Sempre allegra, sempre ridente.

  1. Nel testo: soffistica.