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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/263

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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 257

(ad una sedia; e facendo qualche sforzo, Zelinda si move) Animo, animo; par che si mova. (la scuote)

Zelinda. Oimè. (rinviene)

Flaminio. Datevi coraggio, non sarà nulla.

Zelinda. Dov’è mio marito?

Flaminio. È andato a prendere della melissa per voi.

Zelinda. (E mi lascia in braccio di don Flaminio!) (da sè)

Flaminio. Volete porvi a sedere?

Zelinda. Sono all’ultima disperazione. (fa qualche smania, e tira fuori il fazzoletto per asciugarsi le lagrime)

Flaminio. Ehi, ehi, non torniamo da capo.

Zelinda. Scusatemi. Non so quel che mi faccio. (in atto di partire)

Flaminio. Fermatevi. Aspettate Lindoro colla melissa.

Zelinda. Non signore. Non ho bisogno di niente. (fremendo) La cosa è decisa. Lindoro non m’ama più. Ne ho saputo la causa. Son tradita. Sono abbandonata. Non v’è più mondo per me. (parte)

SCENA XVI.

Don Flaminio, poi Lindoro.

Flaminio. Povere donne! Sono soggette a de’ gran mali, a delle gran stravaganze!

Lindoro. (Colla boccetta dello spirito di melissa, correndo) Dov’è Zelinda?

Flaminio. È rinvenuta, è partita.

Lindoro. Come sta?

Flaminio. Benissimo.

Lindoro. Oimè! respiro.

Flaminio. Andrete dalla signora Barbara.

Lindoro. Quando avrò veduto Zelinda.

Flaminio. Vedetela, e poi andate. (S’amano veramente di cuore). (da sè, parte)