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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/269

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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 263

Tognina. Sì, certo, se la signora Zelinda si degnasse della mia compagnia...

Lindoro. Gliene ho parlato poc’anzi. Stava poco bene la poverina, ma mi pare ch’ella lo gradirebbe moltissimo.

Fabrizio. Continua ancora nella sua melanconia? (a Lindoro)

Lindoro. Un poco.

Tognina. Lasciate, lasciale. Se stiamo insieme, v’assicuro che le farò passare la melanconia.

Lindoro. Son qui un’altra volta per commissione del signor don Flaminio. C è la signora Barbara?

Tognina. C’è, ma perchè non viene egli stesso?

Lindoro. Vi dirò la ragione ch’ho da dire appunto alla vostra padrona. Sappiate...

Tognina. Sento battere. Aspettate un momento che veda chi è. (in atto di partire)

Lindoro. Io ho trovato la porta aperta, e l’ho lasciata così.

Tognina. Bisogna che questo non voglia entrare senza le cerimonie. (va alla finestra)

Fabrizio. E bene. Avete parlato con Zelinda? (a Lindoro)

Lindoro. Sì, lungamente.

Fabrizio. Si è acquietata?

Lindoro. Vi dirò...

Tognina. È un avvocato che dimanda la mia padrona.

Lindoro. Oh, è appunto quegli di cui dovea prevenire la signora Barbara. Ditele ch’è l’avvocato di don Flaminio, che lo riceva con buon animo, e che sarà informata da lui di tutto quello che corre presentemente.

Tognina. Vado subito, aspettatemi qui. (parte)

SCENA III.

Lindoro, Fabrizio, poi Tognina.

Fabrizio. E bene, s’è acquietata Zelinda?

Lindoro. Oh vi sono state delle cose grandi. Vi racconterò.