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128 ATTO TERZO
Posso chiederti men?

Rosmonda.   Troppo mi chiedi,
Nè paga puoi sperar l’audace brama.
Germondo. Dunque il colpo si vibri. Olà.
Rosmonda.   (Che tenta?)
(s’avanza una guardia
Germondo. Cerchisi d’Alerico, e pria ch’il sole
Precipiti all’occaso...
Rosmonda.   Ah no, spietato;
Il decreto fatal sospendi ancora.
Germondo. Attendi un nuovo cenno. Io compatisco,
Rosmonda, il tuo dolore. Alfin sei figlia;
Ma tu pur compatir il mio dovresti,
Che non è già minor quel di un amante.
Mira quanto hai poter sovra il cor mio;
Mi disarmi a tua voglia; a un sol tuo cenno
La vendetta sospendo; un sol tuo sguardo
Tutto lo sdegno mio cangia in pietade.
Sembrati tutto ciò degno, crudele,
Del tuo disprezzo? Ed ostinata ancora
Mi negherai della tua destra il dono?
Rosmonda. Germondo, il caso mio, la mia sventura
Merta qualche pietà. T’ho amato un giorno,
Ora amarti non posso. A te serbai
Questa man, questo cor. Ma il cor, la mano
All’uccisor del mio german non porgo.
Mi cale, è ver, del genitor la vita,
Ma il prezzo ond’ho a comprarla è troppo caro,
Se un atto di viltà costar mi deve.
Germondo. Chi ti vieta l’amarmi?
Rosmonda.   Attilio estinto,
Alerico sdegnato.
Germondo.   E se Alerico
T’imponesse d’amarmi, avresti a sdegno,
Cara, l’affetto mio?