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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/148

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130 ATTO TERZO
Amori ad ascoltar. D’altro si tratta

Che di teneri affetti. Or si decide,
Alerico, di te. Del tuo destino
Trattasi in questo punto, ed è ben giusto
Ch’al decreto fatal che ti condanna
Tu sia presente, e la cagion ne sappia.
Alerico. Dalla tua ferità che sperar posso
Fuor che strazi ed oltraggi e morte alfine?
Previdi il mio morir; ma non credei
Mirar la figlia mia sedere appresso
Al tiranno crudel che mi condanna.
Germondo. Ma non sai tutto ancor. Questa tua figlia
È lei che ti condanna, e la tua morte
Pende dai labbri suoi.
Alerico.   Figlia inumana,
Perchè meco crudel? Non senti, ingrata,
Le grida onnipossenti di natura?
Rosmonda. Padre, udisti le accuse, or le difese
Piacciati d’ascoltar. Posso salvarti
Se tradisco un tuo cenno. Io ti do morte
Se faccio il tuo voler. Chiede Germondo
La mia destra o il tuo sangue. Ecco il cimento
Non preveduto, in cui quel che si perde
Più di quel che s’acquista ognor rassembra.
Ubbidirti vorrei; vorrei salvarti.
Abborro il nodo e la tua morte io temo,
Tu che l’arbitro sei, tu mi consiglia.
Germondo. Alerico, da quelle di Rosmonda
Passi nelle tue labbra il tuo destino:
O mia sposa la figlia o a morte il padre.
Alerico. Morte, morte: la sprezzo, anzi la bramo.
Lascia che al sen ti stringa, o figlia amata;
La tua virtù, la tua salda fortezza
Fa che ogni oltraggio al reo destin perdoni;
Se a me fido si serba il tuo bel core,