Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/237

Da Wikisource.

LA GRISELDA 235
Artandro.   Fermati, oh Dio!

Cos’è questo dolor strano ch’io sento?
Partisti ancor, e ne provai dolore;
Ma non così. Sentomi adesso, o figlia,
Staccar l’alma dal sen.
Corrado.   (Povero padre!)
Griselda. Al volere del ciel chinar dobbiamo
La nostra fronte, e tollerar in pace
Il decreto de’ numi.
Artandro.   Ah! ch’io non posso
Questo colpo soffrir; non più: non sanno
Gli occhi dolenti trattenere il pianto. (piange
Queste lagrime, o figlia, il testimonio
Siano del mio dolor.
Griselda.   Tu piangi, o padre?
Tu che chiami follia pianger, lagnarsi
Delle sventure? Tu che pur non sai
Cosa sia lagrimar?
Artandro.   La mia baldanza
Ora punisce il ciel: veggo ben io,
Che all’umane sciagure in van presume
Uom sottrarsi quaggiù.
Griselda.   Ma non dicesti,
Che felice tu sei?
Artandro.   Tal fui finora;
Ma vicino a morir vogliono i numi,
Che l’amaro del mondo assaggi anch’io.
Figlia, se tu mi lasci, io disperato
Morirò fra le selve.
Griselda.   Oh Dio, che dici?
Tu morir disperato? Ah no, piuttosto
Teco restar vogl’io.
Artandro.   Mio dolce bene,
(con trasporto di tenerezza
Teco lieto sarei...