Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/238

Da Wikisource.
236 ATTO SECONDO
Corrado.   Pensa, Griselda,

Al comando del Re: tu perdi il merto
Acquistato sinor, se non l’adempi.
Griselda. E vero: andiam: padre adorato, addio;
Trattenermi non posso.
Artrando.   E tu chi sei,
Che vuol dal genitor staccar la figlia?
Empio, fellon, così natura offendi?
Non ti move a pietà d’antico padre
Il mesto pianto? Ove s’intese mai
Più crudele empietà? Se alla giumenta
Togli il tenero parto, ella dolente
Si duol, s’adira, e va smaniosa, e manda
Contro chi glielo tolse alti muggiti.
Io meschin, che farò?
Corrado.   Siegui tua figlia.
Artrando. Oh questo non fia mai: morir vogl’io
Di dolore piuttosto in questi boschi,
Che venir a mirar le vostre corti.
Corrado. Della corte sei tu così nemico?
Artrando. Della corte non già, ma de’ suoi vizi.
Corrado. Anche in mezzo dei rei puossi esser giusto.
Artrando. Facilmente s’attacca il rio contagio.
Corrado. Tua grave etade d’ogni error t’esenta.
Artrando. Rimbambiscon talor i più cadenti.
Corrado. Non quei che saggi son, come tu sei.
Artrando. Non mi fido di me, vo’ star fra boschi.
Corrado. Dunque, Griselda, andiam.
Griselda.   Padre adorato,
Pur m’è forza lasciarti.
Artrando.   Addio per sempre.
Griselda. Per sempre addio? No: rivederti io spero
Tosto più che non pensi.
Artrando.   Eh questa vana
Lusinga discacciar, figlia, tu puoi.