Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/353

Da Wikisource.

DON GIOVANNI TENORIO 349
Che mi desti alla luce! Empia nutrice,

Che nella culla non troncasti il filo
Di sì perfida vita! Oh maledetto
Giorno in cui nacqui! Oh scellerati affetti,
Che nutriste il mio cuor! Donn’Anna, Elisa,
Donna Isabella! Ah chi di voi mi svena?
Svenami tu, pastore.
Carino.   (Inorridisco!)
Deh calmate il furor che sì v’accieca;
Ritornate in voi stesso.
D. Giovanni.   Eccomi alfine
Disarmato, rinchiuso, e da ria fame
Tormentato, e da sdegno aspro e feroce.
Commendator, che fai? Perchè non vieni
A vendicar il sangue tuo? Quel marmo
Perchè non scende a precipizio, e seco
Me non porta sotterra? Ah potess’io,
Pria di morire, un’altra volta almeno
Lacerare il tuo sen! Numi spietati,
Deità menzognere, il vostro braccio
Sfido a vendetta. Se fia ver che in cielo
Sovra l’uomo mortal vi sia potere,
Se giustizia è lassù, fulmine scenda,
Mi colpisca, mi uccida e mi profondi
Nell’inferno per sempre.
(Viene un fulmine che colpisce don Giovanni; la terra si apre, e lo sprofonda. Carino spaventato fugge, poi torna

Carino.   Aimè! soccorso.


SCENA ULTIMA.




Don Alfonso, Donn’Anna, Donna Isabella, il Duca Ottavio, Elisa e Carino.



D. Isabella. Udite il ciel, che a fulminar c’invita
Quell’indegno impostore. (a don Alfonso