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420 ATTO TERZO
Rendetemi, Signor: vedrete poi

Con qual coraggio venirò a scolparmi
Nel Consiglio di guerra. Invitto Carlo,
Clementissimo Re, non mi negate
Questa lieve pietà. La spada mia
Riponetemi al fianco; in libertade
Ponetemi, Signor; poscia vedrete
S’io difendermi sappia. Di violenza
Non potete temer: son circondato
Dalle vostre milizie. A me la spada
Fregio sarà, ma non difesa. Io fuggo
Lo scorno de’ nemici. Ah! questo scorno
Tanto mi peseria, che di mia mano
La morte mi darei, pria di vedermi
Tra Paladini disarmato e vile.
Carlo. (Lieve alfine è il favor), (a parte) Guardie, la spada
(entra una guardia
A Rinaldo recate. (parte la guardia
Rinaldo.   Ah! che vi leggo,
Gran Monarca, nel cor. Siete forzato
A usar severità. La pietà vostra
Nota è a Rinaldo, e nota è al mondo tutto.
Carlo. Sì, ma di mia pietà si fida invano
Chi tradirmi procura.
Rinaldo.   E chi è l’indegno
Che cotanto presume?
Carlo. Io fino ad ora
In Rinaldo lo temo; ed in Ruggiero
Vostro figlio il ravviso.
Rinaldo.   Ah! voglia il cielo
Che tanto possa l’innocenza mia
Chiara apparir, quanto è sincera. Il dono
Che al padre concedeste, al figlio, o Sire,
Deh non negate: ancor Ruggier sia meco,
Qual si conviene al grado nostro, ammesso