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526 ATTO QUARTO
Leonzio. Se ad Ormondo, signor, sposai mia figlia,

Lo feci sol per stabilirvi in esso
Un suddito fedele; un che potesse
Di don Pietro frenar gl’impeti audaci.
E lo dirò, con queste nozze intesi
Toglier dagli occhi vostri...
Enrico.   Ah sì, l’oggetto
Voi toglieste più bello agli occhi miei.
Deh, Leonzio crudel, perchè recarmi
Sì gran dolor? Questo sì fiero colpo
Perchè dar al mio sen? Vi aveva io forse
Incaricato di condurmi al trono
A costo di dover perdervi il cuore?
Perchè sol non lasciarmi a sostenere
Le mie ragioni, i miei diritti al soglio?
Mi mancava valor, forza, coraggio
Per metter in dover li presuntuosi
Sudditi, e chi d’opporsi avesse ardito?
Tiranno è il Re, se sull’arbitrio impera
De’ suoi vassalli; e sul reale arbitrio
I vassalli imperar dunque potranno?
De’ sudditi sarà schiavo il Monarca?
Questa barbara legge ove sta scritta?
Se i regnanti goder dunque non ponno
Ciò che l’uomo più vil contento gode,
Ripigliatevi pur cotesto scettro.
Troppo caro mi costa: e più mi cale
Della mia libertà, che d’un tal regno.
Leonzio. Una sola ragion non sta per tutti.
Comanda il Re quando fermato è in soglio.
Ma chi ascender vi brama, e patti, e leggi,
E condizioni, benchè dure, osserva.
Enrico. Qual dritto avea di stabilir Ruggiero
Cotesta legge al successor del regno?
Ottenuto l’ha forse egli in tal guisa?