Vai al contenuto

Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXIV.djvu/69

Da Wikisource.

GIUSTINO 65
Giustino. Amanzio ancor m’insulta? Ad altro tempo

Risponderò. Signor, de’ miei nemici
Qualche insidia fu questa. Il ver fra poco
Si svelerà. Questa mia spada intanto
Tomi a pugnar per te.
Anastasio.   Della tua spada
D’uopo non ho. Resta, fellone, e attendi
Morte condegna al scellerato eccesso. parte
Giustino. Stelle! Che intesi mai?1 di qual eccesso,
Di qual colpa son reo?
Amanzio.   D’aver sì tosto
La capanna scordato, ove nascesti. parte

SCENA X.

Giustino, poi Eufemia con guardie.

Giustino. Traditore, t’intendo. È del tuo ingegno

Opra cotesta. Tu nel cor d’Augusto
Reo mi facesti, e per te reo mi crede.
Ecco di mie vittorie il premio ingiusto;
Ecco del mio servir la rea mercede.
Ah! mel disse il buon vecchio. Oh l’avess’io
Cautamente obbedito! Almen mi fosse
Rinvenirlo concesso. Ah! che dolente
Forse perì. Forse l’uccise il pianto.
Ed io ignoto a me stesso, ed io tradito
Nell’onor, nella fama, vivrò dunque
Incapace di gloria e in odio a tutti
Gli amici miei? No, no, vita sì indegna
Più di morte aborrisco 2. Appresi omai 3
Ciò ch’io posso sperar da quella cieca
Fortuna ria che il miser’uomo inganna.

  1. Nel ms. c'è l’esclamativo.
  2. Ms.: abborrisco.
  3. Nel ms., qui e sempre: ormai.