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CAPITOLO XVIII

Divengo, con una perfetta ingiustizia, l’odio di tutti gli individui della

famiglia. Risolvo di ritornare in Dalmazia. Morte di mio padre.

Tra le mie osservazioni, aveva vedute mia madre e la moglie di mio fratello uscire per tempo insieme mascherate parecchie mattine. Non intendeva il movente di quella gita, ch’era un maneggio segreto e che aveva tutte le apparenze d’un grand’arcano.

Era giá terminato il carnovale, e correva il mese di marzo dell’anno 1745, epoca sempre dolorosa alla mia rimembranza. La gita delle due signore unite, non piú mascherate ma col zendado, seguiva fedelmente tutte le mattine. Chiesi alle sorelle se sapevano il significato di quelle continue uscite in arcano.

Mi risposero di saper solo che il padre si vedeva mal volentieri in Venezia nel suo stato infelice; che essendo vicina la primavera voleva passare alla villa nel Friuli con la nostra madre, lasciando direttrice della famiglia in Venezia la signora cognata; che l’erario era vuoto, e che i granai e le cantine di villa confessavano il vacuo. Feci le spalle gobbe e mi ristrinsi dolente in quelle.

Pochi giorni dopo, mentr’io era nel mio stanzino applicato a’ miei studi, ognor benefici ammorzatori de’ miei acerbi pensieri, mi vidi comparire le tre sorelle piangenti.

Tremai temendo che fosse morto mio padre, ma intesi che ciò non era. Mi dissero con de’ gesti della disperazione, ch’io solo poteva riparare ad un’estrema disgrazia di rossore e di danno; che le uscite dalla casa, in arcano, della madre e della cognata, avevano concluso un contratto con certo signor Francesco Zini mercante da panni; ch’egli dava loro seicento ducati, con patto che uscissimo tosto dalla casa paterna e la dessimo a lui, e ch’egli, oltre alla detta somma di danaio, dava in permuta