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48 memorie inutili

caratteri, e trovai in quelle sgangherate adunanze un’ottima e fertile scuola d’errori istruttivi.

Non fui in alcune circostanze, diverse da quelle, insensibile all’amore; ma riservo ad un capitolo separato l’argomento verace di qualche mia debolezza e de’ miei sistemi su questo proposito.

Do un’idea passeggiera de’ modi del mio pensare sino da’ miei piú freschi anni, e farò poi conoscere, innoltrandomi nelle Memorie, ch’io scrivo con una veritá incontrastabile, che in nessun tempo della mia vita non mi può appartenere né il titolo di casto né quello di dissoluto né quello d’ipocrita.

Sono trascorso un po’ troppo innanzi prima del tempo, e ritorno al mio imbarco sulla galera «Generalizia» nel porto di Malamocco.

Prima che giugnesse il provveditor generale, ebbi campo due giorni e due notti di commiserare l’umanitá sopra forse trecento scellerati carichi di catene, condannati a vivere nel mezzo ad una dovizia di miserie e di tormenti, tutti per sé bastanti a far morire. Un’epidemia pietosa di febbri maligne, introdotta sulla galera, ne involava ogni giorno parecchi all’acqua, al biscotto, alla dieta, a’ ferri e alle sferze degli aguzzini; e, accompagnati dalla voce tuonante d’un frate francescano arsiccio e nero e sempre gioviale, volavano, credo, al paradiso.

In due notti penose potei apprendere la differenza che passa dal pernottare nella propria casa al pernottare in una galera. Ebbi necessitá di richiamare alla mente co’ piú forti colori tutte le circostanze che mi addoloravano nella mia famiglia, per rinfrancar l’animo e per apparecchiarlo a’ maggiori disagi da me preveduti.

L’arrivo all’imbarco del provveditor generale, fra lo strepito degli strumenti e delle cannonate, mi scosse da’ miei piccioli pensieri e mi sorprese.

Questo cavaliere, ch’io aveva prima ben dieci volte visitato al di lui palagio e m’aveva sempre accolto scherzevole e con quella affabilitá e quella dolcezza confidenziale ch’è propria quasi in tutti i veneti patrizi, giunse all’imbarco colle vesti, colle