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Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/504

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477 DELLA ELISIONE Elisione si cliiania il torre da una parola l’ultima vocale, e supplirla col segno (’) detto apostrofo^ si che in Iuo« go di la animai lo idiota^ quello onore, che io, ti incito, sì scrive Tanima, l’idiota, quell’onore, cK io, t^ invito. Il far l’elisione in principio della seconda parola in luogo di levar la finale della prima, come lo ^ngegno, la *nsegna, lo^m^ peradore, sì usa più in poesia che in prosa. Si fa ancora in prosa con la particella // articolo o pronome; per esempio tra H pozzo e la ripa, te 7 dissi, in luogo di tra il pozzo e te Udissi* Le parole che hanno l’accento in su Tultima (eccettuate le congiunzioni poichè, perchè, purchè^ e quel« le che finiscono in due vocali, non patiscono elisione; onde si dice però io, savio amico, levò alto il pie, la verità è, andò a corte, il mio amore, miei amici ecc. L^articolo gli non riceve elisione se non quando si apponga ad un’altra/; gli onori, gli anni, gf infermi. Delle parole dico io, amo io, lungo esso 9 volendo fare l’elisione, s* ha a supplire un* h in luogo dell’o, perchè così vuole il buon senso eia ragione che si conservi il suono primiero} e volere in contrario allegare le scritture antiche, come fa il Bartoli, è vano, perchè l’ortografia dee essere moderna. Non è per tutto ciò da credere che queste elisioni sian sempre necessarie, come par che molli facciano, i quali si danno ad intendere di sapere scrivere a perfezione, quando Doo ne lasciano sfuggir una; che molte volte’ Ia enfasi richiede che si pronuncino le parole intere; onde si dirà meglio la enfasi che renfasi; perciò che lo sforzo che la voce domanda nel pronunziar le due vocali più esprime il senso della parola. Il Boccaccio dice* Se tu non hai quello animo