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1190 QUADERNO 9 (Xiv) il capitolo «L’Esercito italiano durante il colera del 1867» perché ritrae l’atteggiamento del popolo siciliano verso il governo e gli «italiani» dopo la sommossa del settembre 1866 l. Guerra del 66, sommossa di Palermo, colera: i tre fatti non possono essere staccati. Sarà da vedere l’altra letteratura sul colera in tutto il Mezzogiorno nel 1866-67. Non si può giudicare il livello di vita popolare senza trattare questo argomento. Esistono pubblicazioni ufficiali sui delitti commessi contro le autorità (soldati, ufficiali, ecc.) durante il colera? Cfr Quaderno 19 (x), pp. 65-66. q §^(127). Risorgimento. Il moto nazionale che condusse alPunifi- caéione dello Stato italiano* deve necessariamente sboccare nel nazionalismo e nelPimperialismo nazionalistico e militare? Questo sbocco è anacronistico e antistorico; esso è realmente contro tutte le tradizioni italiane, romane prima, cattoliche poi. Le tradizioni sono cosmopolitiche. Che il moto nazionale dovesse reagire contro le tradizioni e dare luogo a un nazionalismo da intellettuali può essere spiegato, ma non è una reazione organico-popolare. Del resto, anche nel Risorgimento, Mazzini-Gioberti cercano di innestare il moto nazionale nella tradizione cosmopolita, di creare il mito di una missione dell'Italia rinata in una nuova Cosmopoli europea e mondiale, ma è un mito puramente | verbale e cartaceo, retorico, fondato sul passato e non sulle condizioni del presente, già esistenti o in processo di sviluppo. Perché un fatto si è prodotto nel passato non significa che si produca nel presente e nelPavvenire; le condizioni di una espansione italiana nel presente e per l’avvenire non esistono e non appare che siano in processo di formazione. L’espansione moderna è di origine capitalistico- fìnanziaria. L’elemento «uomo», nel presente italiano, o è uomo-capitale o è uomo-lavoro. L'espansione italiana è dell’uomo-lavoro, non dell’uomo-capitale e l’intellettuale che rappresenta Puomo-lavoro non è quello tradizionale, gonfio di retorica e di ricordi meccanici del passato. Il cosmopolitismo italiano non può non diventare internazionalismo. Non il cittadino del mondo, in quanto civis romanus o cattolico, ma in quanto lavoratore e produttore di civiltà. Perciò si può sostenere che la tradizione italiana dialetticamente si continua nel popolo lavoratore e nei suoi intellettuali, non nel cittadino tradizionale e nell’intellettuale tradizionale. Il popolo italiano è quello che «nazionalmente» è più interessato all’internazionalismo. Non solo l’operaio ma il contadino e specialmente il contadino meridionale. Collaborare a ricostruire il mondo economicamente in modo unitario è nella tradizione della storia italiana e del popolo italiano, non per dominarlo e appropriarsi i frutti del lavoro altrui, ma per esistere o svilupparsi. Il nazionalismo è una escrescenza anacronistica nella storia italiana, di gente che ha la testa volta all’indietro come i dannati di Dante. La missione di civiltà del popolo italiano è nella ripresa del cosmopolitismo romano e medioevale, ma nella sua forma più moderna e avanzata. Sia pure nazione proletaria; proletaria come nazione perché è