Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/26

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amalia guglielminetti


La donna salì i tre scalini di bardiglio venati di celeste, mascherando d’un sorriso l’oppressione oscura che le chiudeva la gola, mentr’egli con uno scatto iroso apriva, allontanandosi, il portasigarette d’oro.

Gli eucalipti insaporavano l’aria di una acuta fragranza e il maestrale che si era levato sul crepuscolo e rapidamente s’era venuto inforzando pareva spruzzasse sul mare increspato e sulla terra abbrividita quella tenue essenza aromatica. Lucio D’Almea pensò che i profumi sono i colori della notte e che la tavolozza ne è varia com’è varia la tavolozza cromatica del giorno. Ma quel profumo d’eucalipti gli parve troppo molle, troppo esotico, troppo letterario; più in là, verso il capo, ov’era stato poco innanzi con lei, ne aveva aspirato uno più italiano, più rivierasco, più nostro, e quella solitudine, quel fiottar leggero delle onde, quella costa alternata di bande violacee e di punti vermigli lo attrassero come un dolce richiamo. Rifece la strada percorsa con lei e s’avviò lentamente sul largo nastro di polvere bianca che si snodava con la morbidezza di un lungo tappeto di velluto su un immenso pavimento di malachite.

I giardini dalle aiuole pettinate e fioriti di mimose rendevano più acuto il suo desiderio d’amore. Ognuno di quei piccoli nidi d’ombra, di verde e di silenzio sembrava nascondere nel

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