Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/27

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la porta della gioia

folto due anime felici e due corpi ardenti, ed egli sentiva risorgere fremendo nelle sue vene l’amore, la gelosia, il rancore, per un momento sopiti. Anche il vento s’agitava intorno a lui, imperversando nella notte taciturna: la grande luna accesa apparve solcata da una nuvoletta filiforme e qua e là un po’ di nuvolaglia a pecorelle preannunziò il temporale. Qualche goccia incominciò a cadere.

Egli ripassò dinanzi all’albergo che ospitava Maria Farnese: la sala a pianterreno era riboccante di signore che si contendevano tre o quattro uomini in marsina. Riconobbe l’amica di una volta che più non aveva incontrata da gran tempo: era ravvolta fino alle ginocchia da un mantello color di porpora, vasto molle lenteggiante come uno zendado. Scorse la russa dai capelli biondi, un biondo tizianesco e artificiale, coperta le spalle da una specie di dalmatica a fiorami d’oro. Un violinista dalle prolisse chiome diffamava la canzone lituana di Chopin e una signora seguiva il diteggiare del musicista strabuzzando teatralmente gli occhi cerchiati d’ocra e di vizio.

Maria Farnese non c’era. E mentre il violinista filava virtuosamente l’ultima nota, egli mosse con fare stanco e nauseato verso casa.

Nella vasta camera da letto, tepida di panneggiamenti violacei, adorna di vasi di Signa e

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