Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/36

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amalia guglielminetti


Nessuno dei numeri che aveva puntato uscì. Egli diede venti lire alla donna e raddoppiò le puntate. Venne lo zero. Triplicò le puntate. Nulla, nemmeno questa volta.

Udì la donna rugosa mormorargli all’orecchio un consiglio e rispose irritato:

— Non mi secchi.

Gettò una manciata di denaro sull’ultima sestina. Venne la penultima. Gli rimanevano mille lire. Le puntò un’altra volta sull’ultima sestina. Uscì il trentasei e vinse cinquemila lire. Lasciò tutto, ma il suo numero non uscì più. Perdette ancora. Fece cambiare un grosso biglietto di banca, ma in quattro colpi anche quello sfumò. Cambiò un ultimo biglietto e puntò il tre. Non venne, ma dall’altro tavolo da gioco s’alzò la voce dell’impiegato:

Trois, noir, impair et manque.

— Se avessi giocato all’altro tavolo avrei vinto, — egli riflettè rabbiosamente e s’alzò cercandosi nelle tasche un ultimo gettone.

In quell’atto sentì la sua mano urtare contro un oggetto freddo ruvido duro, che gli graffiò la palma con una punta ricurva.

— Che è mai questo arnese? — egli si domandò corrugando la fronte, sorpreso di trovarsi addosso quell’ordigno così poco elegante, così poco in armonia con la raffinatezza signorile che di solito lo circondava. E senza rispondere

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