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che questa cosa fusse stata trattata con saputa del pontefice; dell’animo del quale molte altre cose gli davano sospetto: perché il cardinale di Santa Croce confortava, benché piú per propria inclinazione che per altra cagione, Cesare a passare; ed essendo accaduto che i fuorusciti di Furlí, movendosi da Faenza, avevano tentato una notte di entrare in Furlí, il pontefice si querelava essere consiglio comunicato tra ’l re di Francia e i viniziani. Aggiugnevasi che un certo frate incarcerato a Mantova avea confessato avere trattato co’ Bentivogli di avvelenare il pontefice, e che per parte di Ciamonte era stato confortato a fare quanto avea promesso a’ Bentivogli; onde il pontefice, ridotta in forma autentica la esamina, mandò con essa al re Achille de’ Grassi bolognese, vescovo di Pesero che fu poi cardinale, a fare instanza che si ritrovasse la veritá e si punissino quegli che erano in colpa di tanta sceleratezza: della qual cosa essendo sospetto piú che gli altri Alessandro Bentivogli, fu per commissione del re citato in Francia.

Con queste azioni e incertitudini si finí l’anno mille cinquecento sette. Ma nel principio dell’anno mille cinquecento otto, non potendo quietarsi gli ingegni mobili de’ bolognesi, Annibale ed Ermes Bentivogli, avendo intelligenza con certi giovani de’ Peppoli e altri nobili della gioventú, si accostorono allo improviso a Bologna; il quale movimento non fu senza pericolo perché i congiurati avevano giá, per mettergli dentro, occupato la porta di san Mammolo: ma essendosi il popolo messo in arme in favore dello stato ecclesiastico, i giovani spaventati abbandonorono la porta, e i Bentivogli si ritirorno. Il quale insulto mitigò piú tosto che accendesse l’animo del pontefice contro al re di Francia; perché il re, dimostrando essergli molestissimo questo insulto, comandò a Ciamonte che qualunque volta fusse di bisogno soccorresse con tutte le genti d’arme alle cose di Bologna, né permettesse che i Bentivogli fussino piú ricettati in parte alcuna del ducato di Milano. De’ quali era in quegli dí morto Giovanni per dolore di animo, non assueto, innanzi fusse cacciato di Bologna, a sentire l’acer-