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libro decimo - cap. vii 143

che, per la mala qualitá degli edifici e per molte altre incomoditá procedute dalla lunga guerra, non era atto alla vita dilicata e copiosa de’ sacerdoti e de’ franzesi, e molto piú perché, essendo venuti per comandamento del re contro alla propria volontá, desideravano mutazione di luogo e qualunque accidente per difficultare, allungare o dissolvere il concilio.

Ma a Milano i cardinali, seguitando per tutto il dispregio e l’odio de’ popoli, arebbono avute le medesime o maggiori difficoltá: perché il clero milanese, come se in quella cittá fussino entrati non cardinali della Chiesa romana, soliti a essere onorati e quasi adorati per tutto, ma persone profane ed esecrabili, si astenne subitamente da se stesso dal celebrare gli offici divini; e la moltitudine, quando apparivano in publico, gli maladiceva gli scherniva palesemente con parole e gesti obbrobriosi, e sopra gli altri il cardinale di Santa Croce riputato autore di questa cosa, e che era piú negli occhi degli uomini perché nell’ultima sessione pisana l’avevano eletto presidente del concilio. Sentivansi per tutte le strade i mormorii della plebe: solere i concili addurre benedizioni pace concordia; questo addurre maladizioni guerre discordie; solersi congregare gli altri concili per riunire la Chiesa disunita, questo essere congregato per disunirla quando era unita; vulgarsi la contagione di questa peste in tutti che gli ricevevano che gli ubbidivano che gli favorivano che in qualunque modo con essi conversavano, che gli udivano o che gli guardavano; né si potere dalla venuta loro aspettare altro che sangue che fame che pestilenza che, finalmente, perdizione de’ corpi e dell’anime. Raffrenò queste voci giá quasi tumultuose Gastone di Fois, il quale, pochi mesi innanzi alla partita di Longavilla, era stato preposto dal re al ducato di Milano e all’esercito; perché con gravissimi comandamenti costrinse il clero a riassumere la celebrazione degli uffici, e il popolo a parlare in futuro modestamente.

Procedevano per queste difficoltá poco felicemente i princípi del concilio. Ma turbava molto piú le speranze de’ cardinali, che Cesare, differendo di giorno in giorno, non mandava