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libro nono - cap. xvii | 89 |
acconsentirono. Donde ciascuno tanto piú si maravigliava che, nel tempo che si trattava del concilio, e che si credeva dovere essere potenti in Italia, con la presenza d’amendue i re, l’armi franzesi e tedesche, il pontefice, oltre all’inimicizia del re di Francia, si alienasse Cesare e si privasse degli aiuti del re cattolico. Dubitavano alcuni che in questo come in molte altre cose fussino diversi i consigli del re d’Aragona dalle dimostrazioni, e che altro avessino in publico operato gli oratori suoi altro in secreto col pontefice; perché avendo provocato il re di Francia con nuove offese, e per quelle risuscitata la memoria delle antiche, pareva che dovesse temere che la pace di tutti gli altri non producesse gravissimi pericoli contro a sé, rimanendo indeboliti di stato di danari e di riputazione i viniziani, poco potente in Italia il re de’ romani e vario instabile e prodigo piú che mai: altri, discorrendo piú sottilmente, interpretavano potere per avventura essere che il pontefice, quantunque il re cattolico gli protestasse d’abbandonarlo e richiamasse le sue genti, confidasse che egli, considerando quanto nocerebbe a sé proprio la sua depressione, avesse sempre ne’ bisogni maggiori a sostenerlo.
XVII
Per la partita di Gurgense, perturbate le speranze della pace, ancora che il pontefice gli avesse quattro dí poi mandato dietro il vescovo di Moravia, oratore appresso a sé del re di Scozia, per trattare della pace col re di Francia, si rimossono le cagioni che aveano ritardato Gianiacopo da Triulzi; il quale ardeva di onesta ambizione di fare qualche opera