Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/171

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libro quartodecimo - cap. xv 165

ecclesiastico non solamente avesse necessitá di dare opera ad altro che a perseguitarlo ma fusse costretto a ricorrere a’ consigli e aiuti suoi.

Ma molto piú lunghi e maggiori erano stati i travagli e pericoli di Toscana. Perché, appena assicurato dal duca d’Urbino lo stato di Siena e posate le cose di Perugia e di Montefeltro, era stato dato nuovo ordine, per suggestione del cardinale di Volterra, dal re di Francia che Renzo da Ceri, il quale si riposava ozioso in terra di Roma, tentasse di mutare lo stato di Firenze, rimettendo in quella cittá i fratelli e nipoti del cardinale di Volterra, dichiarato con tutti i suoi amico e confederato del re: i danari necessari alla quale impresa, perché il re allora era costituito in somma necessitá, si doveano numerare dal cardinale, ricevendo promessa dal re che gli avessino a essere restituiti a certo tempo. Le quali cose, mentre che Renzo si prepara per muoversi, pervenute a notizia del cardinale de’ Medici, lo costrinsono, per timore che medesimamente il duca di Urbino non si movesse, a convenire che, senza pregiudicio delle ragioni che i fiorentini e il duca pretendevano nelle terre del Montefeltro, il duca fusse capitano generale di quella republica per uno anno fermo, e un altro di beneplacito, cominciando la sua condotta al principio del prossimo settembre. Condusse per la medesima cagione Orazio Baglione agli stipendi de’ fiorentini, ma con condizione che la condotta sua non cominciasse prima che del mese di giugno, perché insino a quel tempo era obligato a’ viniziani. La quale convenzione benché si facesse eziandio in nome di Malatesta suo fratello nondimeno non si ratificava da lui, perché avendo ricevuti prima danari per congiugnersi, con dumila fanti e cento cavalli leggieri, con Renzo da Ceri, né voleva mancare apertamente all’onore proprio né da altra parte provocarsi con cagioni nuove l’inimicizia del cardinale e de’ fiorentini: però, fingendo di essere infermato, mandò a Renzo, che era venuto a Castel della Pieve, duemila fanti cento cavalli leggieri e quattro falconetti, scusandosi che per la infermitá non poteva andare personalmente; e al cardinale dava speranza di non