Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/281

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libro sestodecimo - cap. ii 275

a lui trattava per il viceré, che questa quantitá sarebbe computata nella somma maggiore che arebbono a pagare per vigore della nuova capitolazione.

La quale innanzi si conchiudesse, pochissimi dí, il duca di Albania, il quale per tornarsene in Francia aveva aspettato l’armata, venuta quella al Porto di Santo Stefano e mandategli le galee, si imbarcò a Civitavecchia sopra quelle e sopra le galee del pontefice, prestategli con consentimento del viceré, benché né all’armata né alle galee non dessino salvocondotto; e con lui Renzo da Ceri, con l’artiglieria avuta da Siena e da Lucca, con quattrocento cavalli mille fanti tedeschi e pochi italiani, perché il resto della gente si era sfilata e il resto de’ cavalli parte venduti parte lasciati. I progressi del quale erano stati tali che si comprese apertamente essere stato mandato, o perché gli imperiali, temendo del regno di Napoli, partissino, per soccorrerlo, del ducato di Milano o perché per questo timore si inducessino alla concordia; e per questa cagione essere proceduto lentamente, mancando forse al re [denari] bastanti a mandarlo con esercito potente.

Ma finalmente, lasciati da parte i viniziani, si conchiuse il primo dí di aprile in Roma, tra il pontefice e il viceré di Napoli come luogotenente cesareo generale in Italia (per il quale era in Roma con pieno mandato Giambartolomeo da Gattinara, nipote del gran cancelliere di Cesare), confederazione per sé e per i fiorentini da una parte e per Cesare dall’altra. La somma de’ capitoli piú importanti fu: che tra il papa e Cesare fusse perpetua amicizia e confederazione, per la quale l’uno e l’altro di loro fusse obligato a difendere da ciascuno con certo numero di gente il ducato di Milano, posseduto allora sotto l’ombra di Cesare da Francesco Sforza, il quale fu nominato come principale in questa capitolazione; e che l’imperadore avesse in protezione tutto lo stato che teneva la Chiesa, quello che possedevano i fiorentini, e particolarmente la casa de’ Medici con l’autoritá e preminenze che aveva in quella cittá; pagandogli però i fiorentini, di presente, centomila ducati per ricompenso quello che arebbono auto