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libro sestodecimo - cap. vi | 295 |
mettere di dargli in preda tutta Italia. Con la quale forma di capitoli Beuren ritornò a Cesare: e vi andò con lui monsignore di Memoransí, persona insino allora accettissima al re, e il quale fu dipoi promosso da lui prima all’uficio del gran maestro e poi alla degnitá del gran conestabile di Francia.
VI
Ma venuta in Francia la nuova della rotta dello esercito e della cattura del re, sarebbe quasi impossibile immaginare quanta fusse la confusione e la disperazione di tutti; perché al dolore smisurato che dava il caso miserabile del suo re a quella nazione, affezionatissima naturalmente e devotissima al nome reale, si aggiugnevano infiniti dispiaceri privati e publici: privati, perché nella corte e nella nobiltá pochissimi erano quegli che non avessino perduto, nella giornata, figliuoli fratelli o altri congiunti o amici non volgari; publichi, per tanta diminuzione dell’autoritá e dello splendore di sí glorioso regno (cosa tanto piú loro molesta quanto piú per natura si arrogano e presumono di se medesimi), e perché temevano che tanta calamitá non fusse principio di rovina maggiore, trovandosi prigione il re, e con lui o presi o morti nella giornata i capi del governo e quasi tutti i capitani principali della guerra, disordinato il regno di danari e circondato da potentissimi inimici. Perché il re di Inghilterra, ancora che avesse tenuto diverse pratiche e dimostrato in molte cose variazione di animo, nondimeno, pochi dí innanzi alla giornata, esclusi tutti i maneggi che aveva avuti col re, aveva publicato di volere passare in Francia se in Italia succedesse qualche prosperitá: però era grande il timore che, in tanta opportunitá,