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libro sestodecimo - cap. xi 323

fatta innovazione di tanta importanza, e massime ricordandosi che e la confederazione loro con Cesare e tanti altri movimenti, che si erano fatti a questi anni in Italia, non avevano avuto altro fine che il volere che il ducato di Milano fusse di Francesco Sforza, come fondamento necessario alla libertá d’Italia e alla sicurtá universale: e però pregare Sua Maestá che, imitando in questo caso se medesima e la sua bontá, volesse rimuovere questa innovazione e stabilire la quiete d’Italia come era in potestá sua di fare, perché gli troverebbe sempre dispostissimi, e con l’autoritá e con le forze, a seguitare questa santa inclinazione; né gli darebbono mai causa che da loro avesse a desiderare uffizio alcuno cosí al proposito del bene universale come degli interessi suoi particolari. La quale risposta essendo senza speranza alcuna di conclusione non partorí però rottura di guerra, perché e lo aggravare tutto dí la infermitá del marchese di Pescara e il desiderio di insignorirsi prima di tutto lo stato di Milano e di stabilire bene quello acquisto, e il volere prima Cesare risolvere tante altre cose che aveva in mano, non lasciava dare principio a impresa di tanto momento.


XI

Il Borbone in Ispagna; disprezzo dei nobili spagnuoli per lui; morte del marchese di Pescara; giudizio dell’autore. Incertezza del pontefice sull’opportunitá della confederazione contro Cesare.

Era in questo tempo arrivato Borbone (il quale arrivò il quintodecimo dí di novembre) alla corte di Cesare. Circa il quale non merita di essere preterito con silenzio che, benché da Cesare fusse ricevuto con tutte le dimostrazioni e onori possibili e carezzato come cognato, nondimeno, che tutti i signori della corte, soliti come sempre accade a seguitare nell’altre cose l’esempio del suo principe, l’aborrivano come persona infame, nominandolo traditore al proprio re; anzi uno di loro, ricercato in nome di Cesare che consentisse che il