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libro decimottavo- cap. xii 155

stante da Milano quattordici miglia, ritornò a Milano; dove lasciati solo dugento uomini, benché i viniziani vi fussino propinqui a dieci miglia, partitosi di notte col resto dell’esercito, assaltò all’improviso in sul levare del sole le genti del castellano; le quali sentito il romore, uscite delle case dove alloggiavano, si ritirorno in uno piano circondato da siepi presso alla villa, non credendo esservi tutte le genti inimiche; e benché si mettessino in ordinanza, furono in quel luogo basso come in carcere senza difesa presi e morti, eccetto molti i quali nel principio si fuggirono, essendosi accorti che il castellano aveva subito fatto il medesimo.


XII

Azione di príncipi presso Cesare per la liberazione del pontefice. Il cardinale eboracense in Francia e suoi accordi col re. Condizioni ed inattivitá degli eserciti avversari in Italia. Atto degno d’infamia compiuto a Perugia dai capitani dei confederati. Azioni dei collegati nel Lazio e nell’Umbria.

Aveva in questo mezzo Cesare, per lettere del gran cancelliere, il quale mandato da lui veniva in Italia, scrittegli da Monaco (il quale richiamò subito), intesa la cattura del pontefice; e benché con le parole dimostrasse essergli molestissima, nondimeno si raccoglieva che in secreto gli era stata gratissima; anzi, non si astenendo totalmente dalle dimostrazioni estrinseche, non aveva per questo intermesso le feste cominciate prima per la nativitá del figliuolo. Ma essendo la liberazione del pontefice desiderata ardentissimamente dal re di Inghilterra e dal cardinale eboracense, e per la autoritá loro risentendosene anche il re di Francia (il quale altrimenti, se avesse recuperato i figliuoli, si sarebbe poco commosso per i danni del pontefice e di tutta Italia), mandorono congiuntamente, l’uno e l’altro, oratori a Cesare a dimandargli la sua liberazione, come cosa appartenente comunemente a tutti i príncipi cristiani, e come debita particolarmente da Cesare,