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libro decimonono - cap. vii 243

de’ quali era capo Giancurrado Orsino, maltrattati detteno nelle mani degl’imperiali; e Giampaolo da Ceri, che roppe presso al Guasto, restò prigione del marchese. Dettesi, nella fine dell’anno, l’Aquila alla lega, per opera del vescovo di quella cittá e del conte di Montorio e d’altri fuorusciti; a che dette causa l’essere maltrattata dagl’imperiali.

Seguita l’anno mille cinquecento ventinove; nel principio del quale cominciò ad apparire qualche indizio di disposizione, da qualunque parte, alla pace; dimostrando di volerla trattare appresso al pontefice: perché sapendosi che il cardinale di Santa Croce (cosí era il titolo del generale spagnuolo) andava a Roma con mandato di Cesare a potere conchiudere la pace, il re di Francia che ne aveva sommo desiderio spedí il mandato agl’imbasciadori suoi, e il re di Inghilterra mandò imbasciadori a Roma per la medesima cagione. Le quali pratiche, aggiunte alla stracchezza de’ príncipi, facevano che i collegati alle provisioni della guerra procedevano lentamente. Perché e in Lombardia era il maggiore pensiero se gli spagnuoli, venuti a Genova, arebbeno facoltá di passare a Milano (donde per mancamento, di denari erano partiti quasi tutti i tedeschi); a’ quali condurre andato il Belgioioso con cento cavalli insino a Casé, passò di quivi sconosciuto a Genova, donde condusse i fanti a Savona per raccôrre cinquecento fanti venuti di nuovo di Spagna e sbarcati a Villafranca. Ma nel regno di Napoli, dubitando gli imperiali che la rebellione dell’Aquila e della Matrice, e la testa fatta in Puglia, non partorissino cosa di maggiore momento, deliberorno voltare alla espugnazione di quegli luoghi le genti che aveano: però fu deliberato che ’l marchese del Guasto andasse co’ fanti spagnuoli alla recuperazione delle terre di Puglia, e il principe co’ fanti tedeschi andasse alla recuperazione dell’Aquila e della Matrice. Il quale come si accostò all’Aquila, quegli che erano nell’Aquila se ne uscirono, e Oranges compose la cittá e tutto il suo contado in centomila ducati; tolta ancora la cassa di argento, la quale Luigi decimo re di Francia aveva dedicata a san Bernardino. Di quivi mandò gente alla Matrice,