Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. V, 1929 – BEIC 1848561.djvu/291

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libro decimonono - cap. xvi 285

modo che, entrati dentro gli inimici, restorono tutti o morti o prigioni. Disegnò poi andare di lá da Adda, e passata giá parte dello esercito per il ponte fatto a Casciano, alcune compagnie de’ nuovi spagnuoli si partirono per andare a Milano; ma lui prevenendogli, fece pigliare l’armi alla terra, in modo che non potendo entrare ritornorono indietro allo esercito.

Ma giá, non ostante queste cose e lo essere i tedeschi ne’ terreni de’ viniziani, si strignevano talmente le pratiche della pace che raffreddavano tutti i pensieri della guerra. Perché Francesco Sforza, presentatosi, subito che arrivò in Bologna, al cospetto di Cesare, e ringraziatolo della benignitá sua in avergli conceduto facoltá di venire a lui, gli espose confidare tanto nella giustizia sua che, per tutte le cose succedute innanzi che il marchese di Pescara lo rinchiudesse nel castello di Milano, non desiderava altra sicurtá o presidio che la innocenza propria; e che perciò, in quanto a queste, rinunziava liberamente il salvocondotto; la scrittura del quale avendo in mano la gittò innanzi a lui, cosa che molto sodisfece a Cesare. Trattoronsi circa a uno mese le difficoltá dell’accordo suo e di quello de’ viniziani; e finalmente, a’ ventitré di dicembre, essendosene molto affaticato il pontefice, si conchiuse l’uno e l’altro: obligandosi Francesco a pagargli in uno anno ducati quattrocentomila, e cinquecentomila poi in dieci anni cioè ogni anno cinquantamila, restando in mano di Cesare Como e il castello di Milano; quali si obligò a consegnare a Francesco come fussino fatti i pagamenti del primo anno. E gli dette la investitura, o vero confermò quella che prima gli era data. Per i quali pagamenti osservare, e per i doni promessi a’ grandi appresso a lui, fece grandissime imposizioni alla cittá di Milano e a tutto il ducato, non ostante che i popoli fussino consumati per sí atroci e lunghe guerre e per la fame e per la peste. Restituischino i viniziani al pontefice Ravenna e Cervia co’ suoi territori, salve le ragioni loro, e perdonando il pontefice a quelli che avessino macchinato o operato contro a lui: restituischino a Cesare, per tutto gennaio prossimo, tutto quello posseggono nel regno di Napoli: