Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/134

Da Wikisource.

XLIII

Gioconda per lei ogni pena.

Amor m’ha posto come scoglio a l’onda,
qual incude al martel, qual tórre al vento
e com’oro nel fuoco; e ’l mio lamento,
donna, a voi grida, e non è chi risponda:

la treccia vostra inanellata e bionda
sol per mio danno ondeggia, e per voi sento
il colpo, il fiato e ’l fuoco, e non mi pento
ogni pena per voi chiamar gioconda.

L’orgoglio onda, martello il duro affetto,
lo sdegno è vento; e con tal forze Amore
non mi muove, non rompe e non m’inchina;

e l’accesa onestade e ’l bel sospetto
con la dolce ira è ’l fuoco ove ’l mio core
quanto piú si consuma, piú s’affina.

XLIV


Il suo non è un amor mondano.

Voi ch’ascoltate l’una e l’altra lira
degli onorati duo tra noi migliori,
sapete ben che con diversi ardori
Lalage questi e quei Laura sospira,
e che colei che ’l terzo cielo gira,
fu qua giú madre di gemelli Amori,
e ch’ambo pronti ad impiagare i cori,
l’uno vii voglie e l’altro oneste inspira.

A che col volgo dite: — Un arcier solo
punge ogni petto, e va sotto un’insegna
Socrate ancor fra l’amoroso stuolo? —

Crediate ornai che chi nel mio cuor regna
non è nudo né cieco, e col suo volo
di levarmi da terra ognor m’insegna.