Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/147

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e col rider, di grazia, andate piano,
ché non è per infermi util conforto,

135 e chi vuol sberleffar, sberleffi invano:

e se non mi farete ingiuria o torto,
ben ch’or morir per voi bramo ed aspetto,
138 allor vorrò morire ed esser morto;

e da voi sopportare io vi prometto
ogni cosa, eccetto una (oh atto rio!

141 gravissima a portar saria in effetto),

come dir non vorrei ch’un rivai mio
o dono o cena o letto si godesse
144 a me promesso o che avessi fatt’io.

Voi mi potreste dir che chi vi desse
ben tutto il mondo, non lo cureresti,

147 quando che ’l caso suo non vi piacesse.

Rispondo ch’io non so s’io son di questi;
ma, quando io fossi, ditelo, di grazia,

150 acciò che nel mortaio acqua non pesti;

ché in tutti i modi vostra voglia sazia
io farò volentieri e per ispasso,

153 sia per mia povertade o per disgrazia;

ma se per brutto al parer vostro io passo,
allora chiaro io mi son persuaso
156 ch’esser potria d’ogni speranza casso.

Ben che con voi potria avvenirmi un caso,
qual giá m’avvenne per un’altra rea,

159 che con un piè mi fe’ restar di naso:

costei, mentre d’amarmi mi dicea,
e Io giurava, e non con gli occhi asciutti,

162 e ch’io tra l’altre cose rispondea

ch’ero brutto ed irsuto i membri tutti,
ed ella confirmando mi rispose:

165 — Signor, son usa far l’amor coi brutti.

Onde, essendo qual altre virtuose,
voi non fareste in la natura mostro
168 a cór le spine e lasciar star le rose;

cosi sarebbe eguale il caso nostro,
brutt’ io, voi brutti amando; e spero molto,
171 se’l mio caso avverrá, ch’avvenga il vostro.