Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
CLVII
Nel conclave per il successore di Paolo terzo,
(febbraio 1550)
Tra le ninfe del Tebro la piú bionda
fuor trasse il capo al lume de le stelle
e, rimirando in queste parti e in quelle,
fermò la vista a la sinistra sponda.
Era sereno il ciel, l’aura seconda
e stillava» dal ciel dolci fiammelle,
tal ch’io scernea l’alte fattezze belle
e ’l canto udia fra ’l mormorar de l’onda:
— Stelle — dicea — se ’l vostro corso è vero,
se virtú non dèe star sempre nascosa,
se son d’un puro augel gli auguri buoni,
sovra quel colle, or di ruine altiero,
dopo i gigli fiorir veggio una rosa
a cui s’inchinan giá sino ai leoni! 1 2 ).
CLVIII
Al papa (Giulio terzo, acciocché benefichi i nipoti (2).
òsso)
Monte, che sovra i sette colli sorgi
e ’l ciel sostieni a paragon d’Atlante
e fra le tue felici amate piante
il cornio e’1 lauro con vaghezza scorgi,
tu che guardi le stelle e ben t’accorgi
che ’l tempo vola al desir nostro innante,
de le tue grazie si feconde e tante
senz’altro indugio ai due bei rami porgi.
Di questo vedrem poi maturi e dolci
gli acerbi frutti ed al suo pregio vero
salir de l’altro l’onorata fronde,
e pascer greggi e respirar bifolci
sotto lor ombre e il colle Augusto altèro
e ’l Tebro correr latte in vece d’onde.
(1) I «gigli» insegna dei Farnesi; la «rosa» con due «leoni» rampanti insegna
dei Savelli, della cui famiglia era il caidinal Iacopo [Ed.].
(2) Fulvio, Ascanio e Laura della Cornia [Ed.].