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dato; e stimato quale veterano che avesse appartenuto al valoroso esercito del primo Napoleone.

Il De-Liguori era Colonnello di Gendarmeria borbonica; mentre si trovava a Capua combattente nelle file di Francesco II, il figlio trovavasi a Santa Maria di Capua combattente nelle file del Garibaldi. Il padre trambasciato da così spietata emergenza raccomandavasi al Colonnello Cattabeni per ottenere che il figlio non si trovasse in combattimento di fronte al genitore; ed il Giovambattista, vivamente penetrato del doloroso caso, annunziando al generale Garibaldi di trovarsi prigioniero a Capua, ferito, ma in via di guarigione, e trattato a meraviglia, lo interessò ad impedire l’inumano conflitto d’un figlio col padre. Essendosi, il De-Liguori figlio, annunziato con altro nome, non riescì possibile rinvenirlo.

La sconfitta dei Regi nel giorno primo d’ottobre.


In piacevolissime conversazioni passammo a Capua i rimanenti giorni di Settembre, ma di grande ansietà fu per noi la prima giornata d’Ottobre, in cui ricorrendo l’onomastico di Francesco II, tentarono i Regi con ogni lor forza la battaglia campale su tutta la linea del Volturno dai ponti della valle fino a S. Maria.

L’affannosa dubbiezza durò per noi fino a che in sul tramontare del sole lo strepito tumultuoso delle truppe rientranti a Capua, a masnade confuse e disordinate ci diedero sicura prova della loro totale sconfitta.

A quello scompiglio delle sbandate truppe s’aggiungeva l’affollarsi furioso della plebaglia Capuana, che inferocita e fremente s’addossava attorno ai poveri, garibaldini rimasti nella sanguinosa battaglia fra le mani dei Regi.

I più malconci prigionieri vennero ricoverati nelle stesse stanze abitate da noi, per quanti ve ne potevano essere contenuti.

V’erano taluni feriti, straziati dai dolori, tra i quali un francese guasto per le reni dalla mitraglia, che sopportava inenarrabili spasimi. V’erano morenti. V’era chi s’abbandonava all’allegrezza col vino e col gioco. V’erano incolti, avventurieri, civili, virtuosi, e secondo la corrispondenza del sentimento e la rassomiglianza delle inclinazioni si formarono diversi gruppi d’intimità.

Uno dei più distinti era il Matteo Imbriani figlio del letterato Paolo-Emilio. Farmi ancora vederlo vicino al letto di Giovambattista, ed udirlo, come se fosse ora qui presente, quel caro giovane, bello della persona, allegro, scherzevole, bramoso di gloria, pieno di speranze e lietissimo d’intrattenersi nella più intrinseca famigliarità con noi.