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Pagina:I Cairoli delle Marche - La famiglia Cattabeni.djvu/56

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Fine della nostra prigionia.


Dal campo garibaldino chiedevano frattanto di entrare in Capua i Chirurghi per visitare i prigionieri feriti ed aperte loro le porte della fortezza furono lieti di constatare i riguardi e le cure con cui venivano trattati. Con i sanitari dell’ambulanza garibaldina trovavasi anche la illustre Donna Jessy Whit Mario.

Posteriormente, dal Maggiore di Stato maggiore Vincenzo Cattabeni, inviato dal Garibaldi a Capua parlamentario, oltre che sapemmo avere il Dittatore proclamato eroe Giambattista Cattabeni, alla notizia degli avvenimenti di Caiazzo, ed avere ordinato, che a lui, vivo o morto, fosse reso l’onore del grado di Colonnello, ed aver nominato me uffiziale per la condotta ed atti di coraggio, avemmo poi speranza di ritornare in breve liberi agli accampamenti nostri; come difatti nella mattina dell’undici Ottobre venne annunciata al Colonnello Cattabeni la sua libertà; e quantunque io sentissi la sicurezza dell’opera sua per riscattarmi fu pur non ostante penosissimo il momento di separarmi da lui; ma la benigna stella che m’avea protetto nel sanguinoso combattimento e disastro di Caiazzo volle poi liberarmi anche dalla prigionia di Capua; ed ecco come.

Mentre Giovambattista appressavasi alla carrozza, attorno alla quale attendevalo un bel gruppo di ufficiali dello stato maggiore borbonico, il Re Francesco passando quale un privato per la via dell’ospitale s’avvicinava a lui, e fatttagli raccomandazione dei feriti prigionieri a S. Maria ed a Caserta lo lasciava offerendosi con frase tutta napolitana, per tutto che potesse occorrergli. Avendogli Giovambattista espresso il desiderio della mia libertà, il Re gli rispose, prontamente assentendo.

Alla chiamata del mio Giovambattista io corsi a salti; e mi trovai nella carrozza con lui in una condizione d’indumenti così misera, che ben contrastava con gli onori militari che le sentinelle ci rendevano all’uscire della porta di Capua.

Fra gli ufficiali che facevano scorta a cavallo era pure il generale brigadiere Matteo Negri.

Giunti agl’avamposti di Santa Maria egli volle fare nel modo il più cortese la restituzione del revolver lasciato nel vescovato di Caiazzo, augurando felicità, ed aggiungendo dichiarazione della più lusinghiera stima a nome di tutti del seguito.

Povero Negri! pochi altri giorni dovevano da quel dì trascorrere pei suoi funerali!

Noi non ci occuperemo d’indagare le ragioni, che, in così grande sconvolgimento di cose, tennero fedele alla bandiera del Re Francesco questo, valoroso magnanimo, quanto liberale ed intrepido cavaliere.