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I Vicerè 145

punto di perdere per sempre i suoi cari; allora esortava più caldamente Raimondo a prendere una decisione qualunque, ad andar subito via:

— Andiamo via!... Andiamo per adesso a casa mia!... Non voglio lasciar sola Teresina... Saremo anche più lontani dal focolare della peste....

— Ho da chiudermi in un paesuccio di mare, in tempo di colera? Per crepare come un cane? Bisognerebbe che fossi impazzito! Scrivi piuttosto a tuo padre e a tua sorella di portar qui la bambina.

Il barone invece tempestò, di risposta, che per niente avrebbe commesso quella sciocchezza, giacchè il colera era alle porte di Catania, e ingiunse alla figlia di non perder tempo e anche di lasciar solo Raimondo se questi rifiutavasi di accompagnarla... Allora ella non seppe più che fare nè chi ascoltare, smaniando all’idea di restar divisa dalla figlia e dal padre, non tollerando neppure d’abbandonare Raimondo, poichè non poteva vivere lontana nè dall’uno nè dagli altri, in quella triste stagione. Il giorno che il duca, fatte le valigie, partì per Palermo, ella si vide perduta....

Fino all’ultimo momento il principe aveva insistito presso lo zio affinchè venisse con lui al Belvedere; il duca aveva continuato a rifiutare, adducendo gli affari che lo chiamavano alla capitale, la maggior sicurezza che c’era lì.

— Non pensate a me, — disse ai nipoti; — io non correrò pericolo; mettetevi piuttosto in sicuro voialtri...

— Vostra Eccellenza stia tranquillo anche per me; ho tutto pronto per andar via al primo allarme, — rispose Giacomo. Rivolto al fratello, al quale aveva già fatto un primo invito, ripetè, in presenza di Matilde:

— Se volete venire anche voi, mi farete piacere.

Raimondo non rispose. Voleva dunque davvero restar diviso da sua figlia? Poteva così tranquillamente viverne lontano, nei terribili giorni che si preparavano? Matilde piangeva, scongiurandolo di non far questo; egli le rispose, seccato:

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