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282 I Vicerè

voleva ancora bene alla moglie e la piangeva giorno e notte peggio che se fosse morta; ma la madre vegliava per lui. Donna Isabella, dunque, non arrischiava più nulla, anzi, non potendo resistere alle tentazioni, così giovane com’era, piuttosto che procurarsi nuovi amici le conveniva tornare col primo: l’unico errore le sarebbe stato così più facilmente rimesso.... Ma per Raimondo la cosa era diversa. C’erano i figli di mezzo, due innocenti creature!... E la buona gente compiangeva la contessa, così mite, così dolce, così devota al marito e condannata intanto — che cosa è il mondo! — ad una vita d’angustie.

La servitù, al palazzo Francalanza, non discorreva d’altro, dimenticava perfino il fidanzamento di Benedetto Giulente con la signorina Lucrezia. Quest’avvenimento, benchè previsto e discusso da tanto tempo, aveva già provocato un risveglio dei partiti in cui i famigliari del principe eran divisi; e mentre Giuseppe, il portinaio, si scappellava inchinandosi all’arrivo del fidanzato come se rincasasse il padrone in carne ed ossa, Pasqualino Riso non si toccava neppure il berretto, da sotto l’arco del secondo cortile dove stava a prendere il sole, e a mala pena degnavasi d’abbassar la pipa e di voltarsi di fianco se gli veniva di tirare uno scaracchio. Solo Baldassarre serbava la sua bella imparzialità, badando esclusivamente al servizio e trattando il promesso della signorina come lo vedeva trattato dal principe: con grande compitezza ma senza confidenza. «I padroni sono padroni» diceva il maestro di casa; e se udiva il basso servitorame discutere con troppo calore della scelta della padroncina, rimandava i famigli alla stalla e gli sguatteri in cucina. «È forse tua sorella, animale?» Che cosa avevano essi da vedere se donna Ferdinanda e don Blasco, sempre d’accordo quantunque non si potessero tollerare, non venivano più al palazzo, disapprovando il matrimonio? Faceva veramente un certo effetto anche a lui, Baldassarre, che una degli Uzeda dovesse sposare un avvocato: ma il giovanotto aveva