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322 I Vicerè

consisteva in un bel quadernetto. Egli che aveva una memoria di ferro e una faccia tosta a tutta prova, aspettava la cerimonia con una tranquillità e una sicurezza ignote ai compagni, ai quali i regali costavano quindici giorni d’ansia e uno di vera paura. Il giorno della funzione, il Capitolo dove i monaci avevano già preso posto nei loro stalli, fu invaso dalla consueta folla dei parenti maschi: le donne, per via della clausura, restavano accanto, nella sacrestia, della quale lasciavansi spalancate le porte. Tutti esclamarono piano: "Che bel ragazzo! Com’è franco e sicuro!" quando il principino, vestito della candida cotta piegolinata, salì sul pulpito, guardò tranquillamente la folla degli spettatori e spinse uno sguardo alla sacrestia, rigirandosi tra le mani il rotoletto del manoscritto e tossicchiando un poco, prima di cominciare. Sotto lo stallo dell’Abate, in mezzo al principe, al duca d’Oragua, a Benedetto Giulente, don Eugenio diceva: "Guardate che padronanza! Se non pare un predicatore consumato!" Ma la stupefazione crebbe a dismisura quando il ragazzo, aperto il quaderno e datavi un’occhiata, lo abbassò, recitando a memoria: "Reverendi Padri e Fratelli dilettissimi, era una notte del più rigido verno, allorquando in una stalla di Nazaret..." e tirando poi via fino in fondo senza guardare neppure una volta lo scartafaccio, gestendo, facendo pause, cambiando il tono della voce come un oratore provetto, come un vecchio attore sul palcoscenico. Finito che ebbe, risceso che fu, per miracolo non lo soffocarono dagli abbracci, dai baci; la principessa aveva le lacrime agil occhi, donna Ferdinanda anche lei era commossa: ma, quantunque muta, l’ammirazione del deputato, al quale la sola idea della folla serrava la gola e annebbiava la vista, non era la meno profonda. "Che presenza di spirito! Che franchezza!..." e tutte le signore lo attiravano, l’abbracciavano, lo baciavano in viso: egli lasciava fare, restituiva i baci sulle guance fresche e profumate, torceva il muso dinanzi alle flosce e grinzose: e oltre ai regali del convento, intascava le lire che gli