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I Vicerè 565


VI.


Uno dei primissimi provvedimenti del giovane sindaco, appena insediato al municipio, era stato quello relativo alla costruzione di un’«aula» per le riunioni consiliari. All’antica saletta fu sostituito un gran salone provvisto di due file di banchi che, per gradi, si elevavano dal suolo ad anfiteatro, con tre ordini di posti per ciascuna fila. In fondo al salone una specie di alto e vasto pulpito comprendeva: a destra, in basso, i posti della Giunta, in alto quello degli scrutinatori e la poltrona destinata al prefetto; a sinistra, l’ufficio di segreteria; nel mezzo di tutta la baracca, sopra un’alta predella, il seggiolone sindacale dorato e scolpito, con un cuscino che l’usciere toglieva e chiudeva a chiave quando il principino scioglieva l’adunanza e se ne andava. Nel centro del salone, un gran banco per le commissioni; più oltre, tavole per «la stampa;» dirimpetto al pulpito sindacale la tribuna pubblica. «Un Parlamento in miniatura!» dicevano quelli che erano stati a Roma; e le adunanze del consiglio, sotto la presidenza di Consalvo, prendevano ora un vero carattere parlamentare. L’ordine del giorno che prima attaccavano manoscritto dietro un uscio, si distribuiva, stampato, a tutti i consiglieri; un apposito regolamento, elaborato dal sindaco, prescriveva le norme da seguire nelle discussioni pubbliche. Gli oratori non potevano parlare più di tre volte sopra uno stesso soggetto; al segretario era rigorosamente vietato d’interloquire, neppure per rispondere alle domande dei consiglieri, e se qualcuno di costoro aveva da lagnarsi della sporcizia stradale o dei cani senza guinzaglio, il principino gli gridava dal suo seggiolone: «Presenti domanda d’analoga interpellanza.»

Prima cura della nuova amministrazione furono i lavori pubblici. Il sindaco, in un discorso dove ram-