Pagina:I promessi sposi (1825) I.djvu/234

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guardavano in viso gli uni gli altri: ognuno aveva una domanda da fare, nessuno una risposta da dare. I primi arrivati corsero alla porta della chiesa: era serrata. Corsero al campanile di fuori; e uno di quelli, messa la bocca ad un finestrucolo, a una specie di balestriera, cacciò dentro un: “che diavolo c’è?” Quando Ambrogio intese una voce conosciuta, lasciò andare la corda; e fatto certo dal ronzio che era accorso molto popolo, rispose: “vengo ad aprire.” Si adattò in fretta l’arnese che aveva portato sotto il braccio, venne per di dentro alla porta della chiesa, e l’aperse.

“Che cosa è tutto questo fracasso? — Che cosa è? — -Dov’è? — Chi è?”

“Come, chi è?” disse Ambrogio tenendo con una mano un’imposta, e con l’altra quel tale abbigliamento che s’era messo così in fretta: “come? Non lo sapete? Gente in casa del signor curato. Alto, figliuoli: aiuto.” Si voltano tutti a quella casa, guardano, vi si appressano in frotta, guardano ancora in su, porgon le orecchie: tutto quieto. Altri corrono alla porta della via: è chiusa e sprangata; guardano in su: non v’è una finestra aperta: non si sente un zitto.

“Chi è là dentro? — Ohe, ohe! — Signor curato! — Signor curato!”