Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/21

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soli. Bisognerehbe fare una gran capponaia, e cacciarveli dentro, a vivere di veccia e di loglio, come volevano trattar noi.”

“Pane eh?” diceva uno che cercava di andare in fretta: “pane? Sassate di libbra: pietre di questa posta, che venivano giù come gragnuola. E che schiacciamento di coste! Non vedo l’ora d’essere a casa mia.”

Fra questi discorsi dai quali non saprei dire se fosse più informato o sbalordito, e fra gli urtoni, giunse Renzo finalmente dinanzi a quel forno. La gente era ivi già molto diradata, di modo che egli potè contemplare il lurido e recente soqquadro. Le mura scalcinate e intaccate da sassi, da mattoni, le finestre sgangherate, diroccata la porta.

— Questo poi non è un bel fatto, pensò Renzo tra sè: se acconcian tutti i forni a questo modo, dove voglion fare il pane? Nei pozzi? —

Di tempo in tempo usciva dalla casa qualcheduno che portava un pezzo di cassone, o di madia, o di frullone, la stanga d’una gramola, una panca, una corba, un giornale, un zibaldone, qualche cosa di quel povero forno; e gridando “largo, largo” passava tra la gente. Tutti questi s’incamminavano dalla stessa parte, e ad un luogo convenuto, si capiva. Renzo volle vedere che storia fosse