Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/260

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Lucia, allogandosi di nuovo nel suo angolo. “Ma il Signore sa ch’io ci sono!”

“Venite a dormire: che volete far lì accosciata come un cane? S’è mai visto rifiutare i comodi, quando si ponno avere?”

“No, no; lasciatemi stare.”

“Siete voi che lo volete. Ecco, io vi lascio il buon luogo; mi corco qui su la sponda; starò disagiata per voi. Se volete venire a letto, sapete come avete da fare. Ricordatevi che ve n’ho pregata più volte.” Così dicendo, si cacciò, vestita com’era, sotto la coltre: e tutto tacque.

Lucia si stava immobile, raggruzzata in quell’angolo, colle ginocchia ristrette alla vita e le mani sulle ginocchia, e il volto nelle mani. Non era il suo nè sonno nè vegliare, ma una rapida seguenza, una vicenda torbida di pensieri, d’immaginazioni, di batticuori. Ora più consapevole di se stessa, e più distintamente ricordevole degli orrori veduti e sofferti in quel giorno, si applicava dolorosamente alle circostanze di quella oscura e formidabile realtà in cui si trovava avviluppata; ora la mente, portata in una regione ancor più oscura, si batteva contra i fantasmi nati dall’incertezza e dal terrore. In questa ambascia stette ella un lungo tempo, che noi

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