Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/317

Da Wikisource.

313

questo mondo, e per tante cagioni! Che so io, alle volte? E intanto mi tocca d’andar con lui! in quel castello! Oh che storia! che storia! che storia! Chi me l’avesse detto stamattina! Ah, se posso uscirne a salvamento, mi ha da sentire la signora Perpetua, d’avermi cacciato qui per forza, quando non v’era necessità, fuor della mia pieve: e che tutti i parrochi d’intorno accorrevano, anche più da lontano; e che non bisognava stare indietro; e che questo, e che quest’altro; e imbarcarmi in un negozio di questa sorte. Oh povero me! Pure qualche cosa bisognerà dire a costui. — E aveva trovato di dirgli: non mi sarei mai aspettato questa fortuna d’incontrarmi in una così rispettabile compagnia; e stava per aprire la bocca, quando entrò l’aiutante di camera col curato del paese, il quale annunziò che la donna era pronta nella lettiga; e poi si volse a don Abbondio per ricevere da lui l’altra commissione del cardinale. Don Abbondio se ne sbrigò come potè in quella confusione di mente; e accostatosi poi all’aiutante gli disse: “mi dia almeno una bestia quieta; perchè, dico il vero, sono un povero cavalcatore.”

“Si figuri,” rispose l’aiutante, con un mezzo sogghigno: “è la mula del segretario, che è un letterato.”