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greta e a tamburo battente sentenziò che la mia conferenza, essendo la migliore di tutte, meritava il premio. Ebbi dunque la grossa medaglia d’oro assegnata dal Ministero della Pubblica Istruzione alla vincitrice e le trecento lire, premio del Comitato. Io volli in qualche modo testimoniare all’egregio conte De Gubernatis la gratitudine non mia personale (come gli inevitabili


    Ho detto elle la maestra deve rinunziare a tutto ciò che non è scuola. E perchè? Qui m’è forza toccare un tasto molto delicato, ma avrò coraggio e dirò schiettamente la mia opinione. Io credo che la maestra, se davvero vuole elevarsi all’altezza del suo santo ministero, debba rimaner fanciulla, come rimangon fanciulle le suore di carità e le donzelle sacrate a Dio.

    Sbaglio, o un sommesso mormorìo di protesta si fa strada fino a me? Sbaglio, o molte delle mie belle uditrici meditano una vivace confutazione alla severità di questo mio principio, ed evocano, trionfanti, il tipo molto più ideale che vero della maestra madre?

    Ah! io m’inchinerei riverente alla sublime creatura che pure allattando, idoleggiando, ed educando i propri figli, trovasse modo, tempo, energia bastevole per fare da mamma ad altre quaranta o cinquanta creaturine irrequiete. Io vorrei baciar le mani alla donna miracolosa che durante le sei o sette ore di scuola non perdesse di vista i figliuoli che sono a casa, che s’accostano al fuoco, si spenzolano dalla finestra e che imparano dalla serva la retorica del mercato!

    Ma — sento dirmi — non sempre i bimbi piccini nell’assenza della madre, vengono affidati alla donna di servizio. Ci sono le nonne, le zie, le cugine, le pigionali! E sia. Ma mentre io mi rendo perfettamente ragione dei contratti e anche dei matrimoni per procura, non riesco a immaginar la procura della maternità.

    La maestra madre! Ah! signore mie buone! Voi non le avete vedute venire a scuola, come le ho viste io, per otto anni di seguito, tante povere sposine col petto tur-