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parte prima | 165 |
l’uomo pure sparisce. — Da tutto ciò si intende, come fra le parti che costituiscono l’uomo secondo il Buddha, non si possa noi trovare nulla, che rassomigli allo spirito o all’anima, nel senso, nel quale noi la intendiamo: l’anima, lo spirito, l’intelligenza, non è che il Manas, non è che un sesto senso, che essi filosofi hanno aggiunto agli altri cinque.1
Abbiamo detto, al cominciare di questo paragrafo, che lo studio degli Esseri e dell’uomo in particolare è il dovere d’ogni Saggio, che desidera arrivare alla perfezione e alla felicità. Abbiamo, secondo le vedute buddhiche, analizzato brevemente gli esseri e l’uomo; ora dobbiamo giungere al fine, al quale tende lo studio suddetto, cioè alla investigazione della cagione di tutte le modificazioni del Rûpa e del Nâma: le due parti principali, di cui si compongono i viventi.
«Gli esseri che abitano i Tre mondi, dice un autore Buddhico, devono avere avuto una causa. Il dire che essi esistono di per sè stessi, senza una causa che li produsse, è assurdità.2 E la gran differenza che poi osserviamo tra loro, indica che il loro modo d’esistenza risulta da varie cagioni. Noi però non possiamo andare d’accordo coi nostri avversarii, i Brahmani, i quali ammettono che Brahman sia la sola causa di tutto ciò che esiste. Quest’essere, cioè Brahman, non è nemmeno lui fuori del dominio del Rûpa e del Nâma: egli stesso è un composto di Rûpa e Nâma, cioè a dire effetto e non causa».3 Che cosa è dunque quel che è con-