Pagina:Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu/423

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348 parte seconda

plice scelta dei fatti, che a lui parvero più meritevoli di nota? Questo non sembra ammissibile; imperocchè il fine preciso che si prefisse Confucio nello scrivere il Chun-thsiu, è chiaramente espresso nei Classici. Egli lo volle scrivere con l’intento di esporre i doveri del principe, e veder di rimediare al mal governo del tempo suo;1 lo volle scrivere, perchè erano periti i versi che celebravano le virtù degli antichi;2 e appena lo ebbe terminato, «i ribelli e i cattivi tremarono di paura».3 Egli voleva esser giudicato da questo suo libro; la sua fama doveva esser pari all’efficacia di quello.4 Tutte queste cose non si rilevano, a parer mio, dall’odierno Chun-thsiu; e mi è forza credere, non esser questo il libro, a cui allude il Filosofo, o essere stato talmente malmenato dal tempo, da non conservare che pochi brani di sè, poca parte dell’orditura: da potersi paragonare a un corpo spolpato, di cui non sian rimaste che ossa. Oppure bisogna supporre, che le parole sopra riferite, le quali son del più recente de’ Classici, Mencio, non provengano veramente da Confucio, ma gli siano state a torto attribuite per opera d’interpolatori.

Intorno all’autenticità del Chun-thsiu, anche alcuni dotti cinesi hanno manifestato i loro dubbi; e il Legge ha pubblicata la traduzione d’una epistola d’uno di questi eruditi dell’Impero di Mezzo (un membro dell’Accademia imperiale di scienze e lettere di Pekino, detta degli Han-lin), il quale aveva nome Yuen-mei, tolta da un epistolario stampato per la prima volta nel 1859. In questa


  1. Mêng-tse, iii, i, ix, 7.
  2. Mêng-tse, iv, ii, xxi.
  3. Mêng-tse, iii, i, ix, 11.
  4. Mêng-tse, ibidem.