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Il Canzoniere 151

giona Bartolomeo da S. Concordio: «Nel movimento e nell’andare e negli atti si debbe tenere onestà. Il superbo si diletta dello svariato andare; l’uomo disonesto nell’andare si mostra». Ammaestramenti, VII, I, 5, 16, 18.

V. 84. N’altronde vuo’, non voglio da altra parte aita, aiuto.

V. 87. Servitù sincera, devozione schietta.

V. 88. Fede vera, cfr. Canz. CXX, dove la fede è detta retta, chiara, pura, ferma, sincera.

V. 93. Sono, e cioè, io sono pregiata perchè ragiono di voi. Nota il trapasso dal discorso indiretto al diretto.


XCV.

L’usignuolo coi suoi soavi lamenti lo richiama al tempo primo del suo amore, che ormai dura da un lustro, e che durerà tutta la vita.
        È sonetto edito da F. G. Napione, op. cit., p. 299. Ha un notevole particolare biografico.


Quel rosignuol che giorno e notte ognora
     Nel bel giardin cantando in dolci lai,
     Forse si sfoga, o saluta i dì gai
     4Che Primavera adduce, e pigne Flora;
Rammentar fammi, e m’appresenta l’ora
     Quand’i begli occhi vostri rimirai.
     Donna gentil, e dentro a quei lasciai,
     8Misero, l’alma, che v’alberga ancora.
Da indi in qua tornato al Toro è il sole
     Cinque fiate, e finch’io resti in vita,
     11Mi vedrà sempre nei vostr’occhi preso.
Ma duolmi sol che ’l vento le parole
     Ne porte, ahi lasso! nè ritrovi aìta,
     14Ch’allenti il fuoco, ov’io son tanto acceso.


V. 1. È il petrarchesco: «Quel rosignuol, che sì soave piagne», Canz., CCCXI, v. 1.