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220 Matteo Bandello

Rocche ’l parlar, e fa la speme ardita,
     E pace, e guerra cavalcar i’ guardo,
     Motti, degni, furor, attender tardo,
     8Atti, cenni, no... si... Pedoni addita.
Ed io per Rege le appresento il core,
     Con pietoso mirar, con gli occhi morti,
     11Tema, silenzio, ardor e gelosia.
Strazio, pianto, servir, riso, dolore,
     Fede, credenza, e passi male accorti:
     14Ma beltà scacco dammi tutta via.


V. 1. M’invita al giuoco duplice. Il Bandello conosceva questo giuoco degli scacchi che «era tra’ persiani in grandissimo prezzo, e di tal maniera un buon giuocatore era stimato, come oggidì tra noi è lodato un eccellente disputatore in cose di lettere e materie filosofiche» come si legge in [[Novelle (Bandello)/Prima parte/Novella II|nov. 1-2]] dove descrive una partita giuocata tra il re Artaserse, persiano, ed il suo siniscalco Ariabarzane.

Vv. 2-9. Usa la Mencia delle sue figure re, regina, alfiere, rocche, pedoni; cui corrispondono rispettivamente dolce sguardo, bellezza, begli occhi, il suo parlare, e sentimenti varii. Oppone il Bandello i proprii sentimenti, ma è sopraffatto dalla beltà di lei.

V. 4. Arfil, lat. aquilifer, alfiere.

Vv. 11-13. Queste enumerazioni anche di concetti astratti sono frequenti nel Petrarca: «Amor, senno, valor, pietate e doglia», Canzoniere, CLVI, v. 9.

V. 14. Notevole il parallelismo tra le quartine e le terzine; virtuoso artificio appreso dal Petrarca che procede in modo analogo ad esempio in Canzone CCLXX, vv. 55-65, e nei sonetti CLXXXVII, CCLXXII.


CLV.

Vede la sua donna dormire: assiste, estatico, al di lei risveglio.


La bella Donna mia da mezzo giorno
     Dormìa corcata sì soavemente,