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Il Canzoniere 317

nel Convivio, IV, 20, egli spiega: «il perso è un colore misto di purpureo e di nero, ma vince il nero, e da lui si denomina».

V. 29. Al Mauro, nelle regioni occidentali abitate dai Mauri o Mori.

V. 31 sgg. Cfr. singolare la mossa; dirà modernamente il Leopardi: «Prima divelte, in mar precipitando, | Spente nell’imo strideran le stelle ecc.», Canz. All’Italia, vv. 120-121, riallacciandosi a Virgilio, Æn., I, 608-609.


XXII.

Versa il poeta, e notte e giorno, errando solitario, dirottissimo pianto per il suo desolato amore.
      È tra le rime edite dal Pèrcopo, l. c.
      Va accostata per lo spunto e l’idea fondamentale al sonetto del Petrarca: «Tutto ’l dì piango; e poi la notte quando», Canzoniere, CCXVI.
      Sestina.


Amante non fu mai sì fuor di speme
     N’alcun mai visse con sì fiero pianto,
     Come viv’io, che, dal mattino a sera,
     E quando poi s’asconde il sol la notte,
     Mai sempre piango e cerco far mia vita,
     5Con le silvestri fiere, in antri e boschi.
Errando vo per solitarii boschi,
     Ove Amor mi conduce senza speme
     D’aver tranquilla un giorno questa vita,
     E tanto sono avvezzo al duol, al pianto,
     10Ch’altro non faccio ne la scura notte,
     Quando veggio imbrunir la tarda sera.
Anzi, pur tutto il giorno sin’a sera,
     Come fera cacciata in piagge e boschi,
     Fuggo, piangendo; e, quando vien la notte,
     15D’ogni allegrezza privo e d’ogni speme,
     Allargo il freno al più dirotto pianto,