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testine, che travagliarono la Lombardia specialmente nei secoli XII e XIII, nel quale ultimo avendo i Sepriesi parteggiato pei Torriani contro i Visconti, fu dall'Arcivescovo Ottone di questa famiglia, il quale nella lotta riuscì vincitore, fatto distruggere. Si conserva ancora il decreto firmato da Rodolfo re d'Italia l'anno 1287, pel quale fu stabilito che castrum Seprium detruatur et destructum perpetuo teneatur (V. Brmbilla l. c. Vil. II, pag. 213). Distrutto non più risorse, ed appena oggidì se ne potrebbe riconoscere il sito dove giaceva, se non ce lo additasse il nome del villaggio, che a poca distanza gli fu sostituito, chiamato Vico Seprio non lungi dalla grossa terra di Gallarate. La sua fama però dura tuttavia nelle molte memorie che di lui ci rimasero, delle quali però non devo nè posso occuparmi, se non per quel tanto, che spetta a quella parte del suo territorio, che giace sulle sponde del Lago Maggiore.

L'estensione del suo contado era in antico assai ampia, rilevandosi da una pergamena dell'anno 777, ch'è la più antica memoria, che si ha di esso (è dell'8 maggio e spetta a certo Totone ììde loco qui dicitur Campilionis, finis Sepriensis, come legge il Giulini P. I, pag. 11), e da molte altre sino all'865, come scrive il Brambilla (l. c. pag. 207), che sino dalla prima sua istituzione comprendeva Mendrisio, Rancate, Balerra e Campiono sul Lago di Lugano.

Sembra però che il Giulini ne abbia ampliato nel secolo XII i limiti più di quello, che conveniva, giacchè egli stesso poscia ne li restringe asserendo, non senza contraddizione, che nell'anno 1185 (P. VII, pag. 16 e segg.), come si ha da un Diploma dell'Imp. Federico all'Arcivescovo di Milano, la Tresa costituiva il confine di questo contado, rimanendo esclusa da esso la pieve di Canobio posta al di qua del Lago Maggiore. «Certamente, egli scrive (l. c. pag. 19), nei tempi più antichi anche Canobio era nella Pieve (voleva dire, non ha dubbio,

    de castro Seprio. In altra carta del 1023 è ricordato pure un Rodolfo conte di Seprio, che il Giulini (ivi P. III, pag. 174) crede succeduto a Sigifredo conte, il quale ne sarebbe stato privato da Arrigo II Imperatore in causa della sua ribellione, quale fautore di re Ardoino.