Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/173

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— Lo sapevo che non sarei venuto invano! — rispose don Silvio ringraziando. Aveva le lagrime agli occhi.

Il marchese rimase, tutta la giornata, con un senso di sorda irritazione nell’animo, quasi il sentimento di pietà che all’ultimo lo aveva commosso fosse stato una specie di soverchieria, una prepotenza usatagli, con fina arte, da quel prete.

Si sfogò con mamma Grazia:

— Ci mancava lui per venire a smungermi!

— È un santo, figlio mio!

— I santi.... stiano appiccicati al muro, o in Paradiso, — rispose duramente il marchese.

E due giorni dopo, don Silvio era davvero in via di andarsene in Paradiso, dove il marchese lo voleva.

Davanti la porta della sua abitazione, gruppi di gente costernata, con gli occhi al balconcino della cameretta del malato.

Il dottore aveva dovuto ordinare di tener chiusa la porta perchè la cameretta non fosse invasa. Di tratto in tratto, qualcuno dei pochi ammessi in casa veniva fuori asciugandosi le lagrime, ed era sùbito circondato. Lo interrogavano con gli sguardi, con una lieve mossa del capo, quasi il suono delle parole potesse disturbare l’agonizzante. — Si è confessato! — Udite? Gli portano il viatico e l’estrema unzione!

La campanella di Sant’Isidoro dava il segnale con