Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/247

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che pretendeva di vedere gli Spiriti e di parlare con loro; e intanto trasaliva allo scricchiolio di un mobile, guardava sospettosamente verso i punti che rimanevano meno illuminati, quasi nascondessero qualcuno che poteva venirgli innanzi all’improvviso.... A fare che cosa?... Stupidaggini! E intanto si affrettava a tornare nella sala da pranzo, sentendosi venir meno il coraggio di rimanere più a lungo solo solo.

Si era affacciato al balcone. Nel vicolo, neppure un lampione davanti alle porte delle casupole; le vicine recitavano in comune il rosario. La fiammata dei focolari, le misere lucerne dall’interno gettavano rossicce strisce di luce su la via mal selciata, su un gruppo di persone, su quella vecchia accoccolata sul sedile di pietra, con la testa china e le mani in grembo. Ombre passavano e ripassavano di tratto in tratto a traverso le strisce di luce. E le avemmarie si rispondevano da un punto all’altro del breve vicolo, monotonamente, interrotte da una chiamata, dal pianto di un bambino che faceva accorrere la mamma, dall’arrivo di un contadino che scaricava dall’asino due fasci di legna. Poi il rosario riprendeva monotono, un po’ frettoloso; e il marchese pensava che un anno addietro egli non era dissimile da quella povera gente. Essa si figurava che le sue preghiere prendevano la via del cielo, arrivavano fino all’orecchio di Dio e della Madonna per interessarli dei suoi bisogni, delle sue disgrazie,